sabato 28 gennaio 2006

Guardarsi in faccia: dinnanzi ai propri mostri

Mostro: dal latino monstrum "cosa non normale" ma anche "segno divino" e "prodigio". Il monstrum è qualcosa che non abita nella normalità. Ne esula. E va ben oltre.
Ma pensa te! Tutta una vita a cercare di riportare tutto ad uno schema di normalità da cui deriva la comprensione e da cui scaturisce la pace e la serenità, ed ecco apparire il mostro colui il quale ci distrugge le nostre misere certezze.

Che sarebbe l'arte senza il mostro?
Che sarebbe il cinema senza il mostro?
Niente Frankenstein, niente King Kong, niente di niente.
Ma fare i conti con i mostri non è solo cosa da celluloide e schermi 16:9.
Fare i conti con i mostri è il pane quotidiano di ogni essere a 2 zampe e 2 mani prensili dotato di capacità di linguaggio e autodistruzione per esaurimento delle riserve vitali. Di ogni uomo sul pianeta insomma.
Fare i conti con i mostri è la nostra attività primaria.
Come si può non essere eruditi su ciò?
Come si può?
Parlo di guardarsi in faccia. In realtà sarebbe meglio dire guardarsi dentro.
Anche perchè dentro di noi troviamo i mostri più paurosi.
Sono mesi che ci corro dietro. Che cerco di sviscerare questo dilemma. E ogni volta finisco in un vicolo cieco. E come mi accade ogni volta che continuo a finire in un vicolo cieco, ecco che sento di virare a 180° dalla attuale rotta.
Cosa c'è di meglio che prendere se stessi sotto braccio e dare un calcio alle proprie certezze. Così per giocare, per vedere com'è il mondo visto da un'altra parte.

Forse in faccia mi sono guardato molte volte. E molte volte sono sceso nell'antro maleodorante del mio cuore a vedere cosa vi abitava. Forse l'ho fatto fin troppo spesso. Tanto da concludere che fossi composto solo da mostri. Ma non è così.

Ci vuole un'unità consapevole di essere consapevole che guarda il tutto da lontano. Ci vuole un punto di osservazione per vedere le cose. E noi siamo il nostro punto di osservazione.
Noi siamo noi. Non siamo i nostri mostri.

Ma li abbiamo. E ne dobbiamo essere consapevoli.
Oggi mi sto guardando in faccia. Oggi ho voglia di entrarmi dentro.
Scendo nuovamente, dopo anni, nell'antro venefico denso di zolfo.
Vedo quel che c'è, quel che c'è sempre stato sopito dal calore delle mie mete.
Ma le mete vanno incontro a fallimenti e il calore soggiace alle leggi del mercato: se non c'è carburante non ci si riscalda.
Ma esiste una differenza fra le persone. E vedere le differenze è più importante che vedere le uguaglianze.
E la differenza fra me e molti altri è che io, alla fine, non mi arrendo mai. Io non accetto la sconfitta.
Non accetto il fallimento.

Il fallimento non esiste. Quello che esiste è in NON voler più continuare a persistere in una certa direzione. Esiste la morte, esiste la sofferenza, esistono gli errori, i ritardi, le stupidità e le incompetenze.

Questo esiste.
Ma non il fallimento. Il fallimento è la non conclusione di un cammino. Ed è un'idea di assenza di avvicinamento alla meta. Si può essere fermi ed essere convinti di muoversi verso la meta. Questo non è fallimento.
Si può avanzare rapidamente verso la fine del viaggio e pensare che non ci si arriverà mai. Questo viene chiamato fallimento. Ma non è realtà: è solo un'idea.
Oggi rimuovo l'idea di fallimento e di tutti i mostri ad essa connessi.
Li ho visti tutti uno per uno. Non mi sono piaciuti.
Ma non sono loro che non stavano combattendo.
Per aspera ad astra!

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