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venerdì 19 aprile 2024

Comunicare: quanto ci piace. Ma è importante?

La modernità è fantastica.
Il mondo moderno è fantastico.

Parla di tante cose, con la supponenza di conoscere un sacco di cose. Solo perchè siamo nel 2024 ed è ovvio che in questi tempi ne sappiamo per forza di più di chi abitava nel 2021 o nel 2014 o nel 2003 o nel 1993 o nel 1981 e via dicendo.

Mah...

Si parla tanto di comunicazione, di comunicare, di strumenti di comunicazione.

Prendendo spunto dalle pubblicazioni di una pagina amica "Un Venditore Migliore", vedo una frase che mi fa riflettere.
Quante volte abbiamo sentito parlare di comunicazione, di comunicare di più di comunicare meglio.
Ma non ci si riferiva veramente al concetto di comunicare. Ci si fermava al più banale e superficiale concetto di parlare, di dire, di esprimere.

Da noi ad altri. E basta.

Si identifica il comunicare con il parlare. Quando il parlare pur facendo parte del comunicare, ne rappresenta solo una parte. E, forse, neppure la più importante.

Che ne pensi della parte composta da "ascoltare"?

ASCOLTARE E' COMUNICARE!
Anzi comunicare è per lo più essere capaci di rimanere collegati (e quindi in comunicazione) con altri.

ASCOLTARE E' COMUNICARE!

Credo che dovremmo occuparci molto di più di ascoltare gli altri, per aumentare la nostra comunicazione.
E non è un caso che Madre Natura ci abbia dotato di 2 orecchie e di una sola bocca.

E tu che ne pensi?

Per Aspera ad Astra.

domenica 6 agosto 2023

Oh My GOD, come passa il tempo. Come lo possiamo catturare e incatenare?

Scrivo un nuovo post, un nuovo articolo e lo faccio perchè guardando il mio blog, l'attenzione va a finire sulla sua età. 

E' quasi maggiorenne, capite. Quasi maggiorenne. Nato nel 2005.

Così da una parte vedo mio figlio che tra qualche mese va all'università e dall'altra una mia creazione che mi rendo conto aver fatto partire moltissimo tempo fa.
E in mezzo mi rendo conto che questo prossimo settembre compirò 51 anni.

Non è il tempo della resa dei conti e del conteggio di ciò che è stato raggiunto e di ciò che si è mancato.
Non lo è.

Proprio qualche giorno fa, pianificavo i miei prossimi progetti e, onestamente, mi sentivo pronto per iniziare veramente qualcosa.

Il tempo. Il tempo però rimane. Il tempo però rimane un qualcosa di ineffabile che così tanta importanza ha nella nostra vita. Il tempo scandisce le nostre esistenze e ne determina spesso l'andamento.

Perchè ci sta addosso. Qualche volta ci favorisce, il più delle volte ci mette in soggezione e ci porta a commettere errori strategici gravissimi.

Ci sono altre entità che spesso l'uomo cerca di manipolare, circoscrivere e dominare. A volte ci riesce e a volte no, ma sono gare che almeno si riesce a concepire, gare forse non sempre alla pari ma in cui "sembra" almeno ci possa esser tenzone.
Ma il tempo? Come si può incatenare il tempo?

In altri momenti e altri luoghi, dissi:
"Il denaro lo perdi e lo puoi riguadagnare.
L'amore lo perdi e lo puoi ritrovare.
Il successo svanisce e lo puoi raggiungere di nuovo.
La salute la perdi e la puoi ricostituire.
La felicità la perdi e la puoi nuovamente riavere.
La pace la perdi e la puoi ricreare
Ma il tempo? Il tempo no. Lo perdi e quel tempo non torna più!"

Vero? Non vero? Non so. So solo che il tempo è una entità molto diversa da tutto il resto.
Tempus Fugit diceva Virgilio nelle sue 'Georgiche', il tempo fugge.

Ogni momento che viviamo è un unicum. Lo possiamo ricreare, certo. Magari più bello, ma sempre in un nuovo tempo.

Ogni giorno abbiamo in dote la stessa quantità di tempo. Tutti. Io, te e tutti gli altri che ora non leggono queste righe. Tutti. Tutti abbiamo in dotazione 24 gettoni da un'ora l'uno al giorno. O, se preferisci, ogni giorno ci viene data una dotazione di 1440 gettoni da un minuto l'uno.
E ogni giorno usiamo questi gettoni per fare questo o fare quell'altro. O non fare niente.
Spesso ci piace l'idea che non siamo liberi di usare questi gettoni a nostro piacimento. Ci piace l'idea. Ci piace perchè così non dobbiamo essere responsabili di come usiamo i gettoni che ci vengono dati in dote.

"NON HO TEMPO!". Quanto ci piace dirlo. Tu magari no. Ma io mi dichiaro colpevole. Uso questa scusa. E di sicuro sento moltissime persone usare questo marchingegno mentale per potersi tirare fuori da una qualche responsabilità.

E' ovvio che sia un modo di dire. Ma è un modo di dire sbagliato.
Ce ne sono... Di modi di dire sbagliati che a furia di essere usati alla fine condizionano chi li usa senza che nemmeno egli se ne renda conto.

Se usiamo troppo a lungo questo modo di dire potremmo finire per pensare, davvero e senza rendercene conto, che non abbiamo tempo.
Ma i gettoni sono sempre quelli.

Tutto dipende dalle nostre scelte, da quali strade decidiamo di prendere e su quali strade decidiamo di rimanere. Si sbaglia. Chi non sbaglia? Ma molti continuano a rimanere su un percorso anche dopo avere perfettamente realizzato sia un errore.

Tutto dipende dalle nostre decisioni, dalla nostra scala di priorità.
Se non voglio andare da qualche parte, dirò che non ho tempo. Quasi mai dirò alla persona che non voglio stare con lei.

Dare la colpa al tempo, è facile. Perchè sembra non vendicarsi mai. E quindi lo incolpiamo di tutto. Ma forse rifletterei sul fatto che non sia vendicativo.

Tempus fugit, quindi.

Ma c'è un modo per usare al meglio i gettoni di cui siamo dotati?
Forse si.
Ma ne riparleremo.
Per Aspera ad Astra!

martedì 2 febbraio 2021

L'Uomo la dività o l'Uomo l'animale?

L'essere umano è una creatura veramente curiosa. Si destreggia fra opposti che spesso sembrano inconciliabili.

E' una creatura capace di slanci di amore e compassione come non se ne vedono in natura nè in nessun'altra forma di vita.

E al contempo è una creatura capace di momenti di ferocia e crudeltà come non se ne vedono in natura nè in nessun'altra forma di vita.

L'Uomo è un animale sociale. Sociale sicuramente, animale abbiamo dei dubbi. Che sia un animale, che sia anche un animale non vi è dubbio.

Il dubbio è che egli sia solo un animale. Ma probabilmente egli non è solo un animale ma una creatura peculiare in cui l'animale e la divinità si sposano e formano un unicum irripetibile.

L'Uomo il dio, l'Uomo l'animale disse una volta un filosofo.

Nella foto vediamo una matita colorata di rosso in mezzo a tante matite grigie. E' una immagine che mi è venuta in mente stamattina, dopo aver accompagnato mio figlio a scuola.

Mi ha fatto pensare a questa spinta innata dell'Uomo di innalzarsi ed elevarsi. Di distinguersi anche. Da chi?

Dal resto della massa, verrebbe da dire. Ma non so se è una chiave di lettura sufficiente.

La sentiamo, si, la sentiamo tutti (o quasi) questa spinta a distinguerci, elevarci, arrivare. Sembra dare un senso alla corsa. Forse accecati dalla gloria delle battaglie di un tempo, si pensa che occorra vincere nell'arena sterminando tutti gli avversari. O forse, nella mente, abbiamo le immagini del maratoneta che arriva prima degli altri al traguardo. E solo per lui sono le feste, gli elogi, l'alloro e i baci delle ragazze.

Ma l'Uomo è anche una creatura sociale, che vive e si nutre di socialità. Anche quando fa lo snob e mostra che vivrebbe benissimo senza vedere nessuno. Non è vero. E se mai avessimo avuto bisogno di una riprova di questo, è bastato quest'ultimo anno di esperienza pandemica (con le sue restrizioni) per mostrare che vita grama sia vivere senza il contatto sociale. Senza stare con altri, senza poter socializzare.

Questo è uno dei dilemmi dell'uomo: la volontà di primeggiare e distinguersi da una parte e la volontà di sentirsi compreso (sia fisicamente che concettualmente) e membro di un gruppo dall'altra.

E la vita passa in questa oscillazione: solitario e distinto/socializzato e uguale.

La realtà che un Uomo è entrambe le cose. E' unico e irripetibile. E' speciale. E' diverso e solo in una piena manifestazione della sua diversità si attua una vita felice.

Ma l'Uomo è anche in perfetta fratellanza con tutto il resto dell'umanità (ma anche dell'universo per la verità). E vivere cercando di sentirsi differenti-distanti-diversi con tutto il resto proprio non funziona. Se volete avete una vita infelice, semplicemente distaccatevi da tutto, fregatevene di tutto, sentite di non avere diritti e doveri da niente e da nessuno. Avrete l'inferno nella vostra vita.

Immaginate la punizione peggiore di tutte? La potete vedere nelle scene iniziali del film (bellissimo tra l'altro) "Io sono Leggenda" con l'attore americano Will Smith...... Un uomo solo con tutta la città e i suoi beni a disposizione ma senza nessuno.

Primeggiare? Si. Innalzarsi? Si. Essere diverso? Si.
Rimendo in fratellanza con l'intero universo e tutta l'umanità.

Per Aspera ad Astra.

venerdì 29 gennaio 2021

La storia dei blog fino all'avvento dei social network: come è andata e cosa succede ora.

Ho iniziato a scrivere su un blog nel lontano 2005, quando il fenomeno comparse sul web ed esplose.

Sembra passata una vita. E forse lo è passata.

Un blog non è nient'altro che una sorta di diario personale, che invece che andare in un cassetto, rimane visibile e leggibile al mondo intero su internet.

Nella seconda metà degli anni '00, fu un boom.

Le persone scoprirono la possibilità di socializzare a distanza con i blog e i forum (discussioni pubbliche su internet). Al tempo non esisteva neppure il concetto di social network.

La verità è che io scrivo da quando ero bambino. Molti non lo sanno e di sicuro io sono l'unico responsabile di ciò. Al momento ho scritto 10 libri, di cui 2 pubblicati con la Giacomo Bruno Editore e gli altri pubblicati in Self Publishing. Nel cassetto ve ne sono molti altri, di cui alcuni già completati e pronti per la rivisitazione pima della pubblicazione.

I blog sono stati una scoperta incredibile per me. Ho conosciuto molti altri blogger e scoperto che il mondo è popolato da persone fantastiche. Ci sono anche i deficienti, gli ignavi e gli stronzi. Ma quelli già li avevo conosciuti, quindi non è stata una gran sorpresa.

Ci sono stati momenti in cui i blog che ho gestito (ne ho curato vari, tra cui un periodo molti per conto di altre persone) hanno avuto molto successo.

Ai tempi in cui Tiscali forniva un servizio di piattaforma blog, il mio blog è stato molto spesso eletto "blog della settimana" e riceveva migliaia di visite al giorno. Poi Tiscali chiuse e purtroppo quel canale si spense.
Tra il 2008 e il 2010, creai un blog che parlava di lavoro, investimenti e truffe finanziarie il cui scopo era informare le persone sui pericoli delle offerte allettanti e dei progetti di investimento con rendite altissime. Senza rendermene conto quel blog divenne il più letto di tutta Italia per molti mesi. E veniva indicato come il blog di riferimento da altri blogger.

Ricevevo circa 700-800 visite al giorno e mi mandavano decine di mail con richieste di approfondimento. 

E poi? Poi arrivarono i social e in particolare Facebook. Già da qualche tempo cominciavano a girare gli smartphone e l'uso del web si spostò dal computer al cellulare. Arrivò Youtube, Twitter e infine Instagram.

Dall'intimità di una attività di socializzazione fatta di contenuti e di idee (al limite litigi) si passò ad una attività di socializzazione fatta di foto, di video, di notizie veloci, di citazioni, di gattini e di selfie con le labbra a gallina.

Le piattaforme blog sparirono velocemente, non avendo più il giusto interesse per essere sostenibile e profittevoli e le abitudini mutarono in modo talmente veloce che solo quelli che avevano tempo e voglia di stare al passo riuscivano a farlo. Per gli altri (ad esempio come me) con lavoro, famiglia e altri impegni (opero nel sociale e nella riforma sociale da vent'anni) era sempre più dura seguire tutti questi cambiamenti.

Io ho comunque operato con i social fin da subito (sono in Facebook dal febbraio 2009 e in Twitter dal gennaio 2011) ma quel mondo non mi ha entusiasmato.
Il livello degli argomenti è precipitato. Tutto immediato, tutto molto superficiale.

I blog erano (e sono) terreno di secchioni e fanatici di un qualche argomento. Non proprio così ma per dare l'idea.

E oggi? Oggi comunicare idee, portare avanti progetti è diventato sempre più duro. E' vero. Ci sono i canali video che al momento sono un ottimo modo di trasmettere contenuti. Ma occorre impegno e ci vuole una certa qualità tecnica per realizzare un prodotto dignitoso.
I blog erano un'altra cosa. Sono tutt'ora un'altra cosa.

Oggi pubblico sul mio blog il 171-esimo articolo. Pubblicati in poco più di 15 anni. Di questi 171, 148 li ho pubblicati nei primi 6 anni di attività. E solo 23 nei restanti 9 anni. Rendo l'idea?

Oggi ne pubblico un altro. A testimonianza di questa avventura. Per ringraziare il mondo dei blog e dei blogger. E per sognare un nuovo futuro fatto di comunicazione di contenuti e non di solo effimere cose che passano e ci lasciano vuoti e uguali a prima.

Per Aspera ad Astra.

domenica 10 gennaio 2021

Un video veramente didattico e istruttivo: come risolvere i problemi?

Oggi non pubblico una immagine ma pubblico un video.
C'è un concetto (che adesso espongo) e che questo video secondo me spiega in un modo fantastico.
Il video è stato creato da un appassionato di meccanica e di lego. Il suo canale Youtube è fantastico per chi ama la meccanica e la modellistica.

Il concetto è il seguente:
Nella vita capita di trovare degli ostacoli, delle barriere. Queste barriere sono varie: possono essere problemi, disavventure, disgrazie, difficoltà, rovesci, sfighe. Insomma... chi più ne ha ne metta.
Quando ci si trova in una situazione difficoltose, in genere la reazione di quasi ognuno di noi è di 
1. Protestare (spesso in modo veemente e scomposto).
2. Impegnarsi con tutte le forze per trovare un colpevole, il 90% delle volte esterno a noi.
3. Continuare a protestare, inveendo e maledicendo il colpevole.
4. Continuare a cercare di risolvere il problema o uscire dalla condizione negativa in cui siamo finiti cercando di far sparire l'ostacolo o rendendolo meno forte

In pratica, la normale reazione di quasi ognuno di noi è quella di cercare di rendere il problema o la brutta condizione meno forte, meno presente, meno importante, meno influente.

Il video che ho postato, invece, mostra che il modo corretto di risolvere un problema, superare un ostacolo o tirarsi fuori da un brutto momento o situazione è quello di:
A. Esaminare la situazione e
B. Migliorare le proprie abilità e/o trovare una nuova via per superare l'ostacolo.

L'attenzione non è mai a annullare l'ostacolo o modificarlo. Ma è totalmente su diventare più abili nel superare l'ostacolo.
Credo sia una grande lezione di vita.

Non è possibile uscire da una brutta condizione senza cambiare e senza fare qualcosa di nuovo.
Cosa ne pensi?
Fammi sapere.
Per Aspera ad Astra.

sabato 22 febbraio 2020

Cosa penso dei social network?

La cosa più strana che mi riguarda è il fatto che, non infrequentemente, mi ritrovi a essere coinvolto in qualcosa, mi ritrovi a essere esperto o informato su qualcosa ma allo stesso tempo essere in disaccordo con quella cosa.

Sembra strano ma si può essere in disaccordo con qualcosa pur essendone esperti, pur usandola e pur essendone uno dei primi utilizzatori.

Questo fatto è ciò che esattamente mi succede con i social network.
Ho cominciato ad usare i social network molto tempo prima che essi diventassero un MUST per le persone, che acquisissero questa influenza dominante e pervasiva che ora anno.
Non voglio dire stupidate ma mi pare che la mia prima iscrizione al re dei social sia di fine 2008, quindi ben 12 anni fa.

E prima di quello già partecipavo ai forum e già scrivevo su piattaforme di blog (gli antenati dei social).

Il mondo social non mi è estraneo. 
L'ho usato per relazionarmi, per conoscere persone e per divertirmi.
L'ho usato molto per lavoro e ho usato le mie conoscenze dei social in campo aziendale per me e per altri imprenditori curando la loro promozione in questo senso.

Attualmente ho un profilo Facebook, un profilo Instagram, un profilo Twitter e un profilo Linkedin.
Oltre a questi gestisco varie pagine e vari altri account di tipo aziendale o culturale, anche su altri social come Youtube o Vimeo.
In passato ero attivo anche su altri social, che adesso non uso più come Pinterest o Google+ o Xing o Viadeo.

Ma quindi penso bene dei social network, visto che li uso da tempo?
Una risposta in senso affermativo o negativo del fenomeno sarebbe superficiale e irresponsabile.
Ma se proprio venissi costretto a scegliere fra un si, ne penso bene e un no, ne penso male, al momento direi no, ne penso male.

Facciamo però un passo indietro.
Cosa sono i social network? Essi sono solo un modo per collegarsi ad altre persone. In realtà una discoteca o una piazza di paese non sono nient'altro che un social network.


In questo senso ho sempre ritenuto i social network basati su internet tramite i computer un fenomeno positivo.
Ed è per questo che ho sempre fruito di questi strumenti.


Ritengo che tutto ciò che possa mettere più facilmente in relazione le persone sia una cosa positiva.
Ne discende conoscenza, creatività, crescita e anche fratellanza e amore.

Ma....

Ciò che ho imparato in questa rivoluzione culturale totale che è stata l'avvento di internet prima e degli smartphone dopo (che altro non hanno fatto che ampliare a dismisura la penetrazione di internet nella nostra vita quotidiana) è che uno strumento rimane sempre uno strumento.

Non è Dio, non è necessariamente una soluzione, non è necessariamente una cosa buona.


Uno strumento è una potenzialità.
Sta a chi lo usa deciderne gli usi e gli effetti.

Internet prima e i social network sono una grande potenzialità. Probabilmente la più grande dopo la scoperta dell'energia elettrica.
Ma questo sono e questo rimangono: strumenti - potenzialità.
Possono essere una soluzione, possono essere una cosa buona. Ma non è detto che lo siano.

Quello che ho imparato è che la capacità di chi li sua di comprenderli e saperli gestire è più importante delle loro potenzialità intrinseche.


Ma i social sono arrivati ed esplosi in un attimo.


E le persone non erano preparate per questo. Non erano culturalmente e umanamente mature.
E i social non hanno fatto altro che amplificare le insicurezze e le debolezze di una società fragile e decadente, che in realtà si sta dirigendo (secondo me) verso la propria autodistruzione.

Concetto terribile, apparentemente catastrofico ma inesorabile se analizzato nella semplicità dei suoi fondamenti.

Penso che i social network siano un'occasione persa.
Le persone li usano per rimorchiare e per cazzeggiare. E ci sta. Anche piazze e discoteche sono stati usati per questo.

Il problema è che troppi prendono seriamente l'uso dei social network pur se il loro approccio è da "rimorchio" o da "cazzeggio".

La mancanza di educazione comunicativa dell'uomo (donna) medio del 2020 in questa società post-industriale che abbandona i dati stabili di una cultura secolare per lasciarsi andare all'anarchia di valori collettivi per una adesione non ragionata a scale di valori individuali è la causa del pessimo uso dei social.



Non vedo persone che usano questi strumenti per comunicare idee ed emozioni che siano costruttive.
Ma spesso l'uso dei social è fatto per parlare del niente spacciandolo per qualcosa. Passi la foto del gattino che mangia nel cortile (niente da appuntare). Ma se tutto l'uso che si può fare di un social sono
1. Frasi fatte, trite e ritrite che niente hanno a che fare con la vita concreta di chi la posta.

2. Foto di vita quotidiana inutili come uno scolapasta per raccogliere la pioggia.
3. Post ostili, critici e di lamentela.
4. Spazio a fake news, a notizie di altri giornali, siti, tv etc.....
è veramente triste.
E' come vedere qualcuno che ha una Ferrari e la usa per piantarci dentro i cactus e altre piante grasse riempendole di terra.


Cosa penso dei social network? Che siano ancora una occasione per conoscere.
Che siano un bellissimo modo per dare democraticamente a tutti la possibilità di esprimersi.
Ma se invece che aumentare la possibilità di comunicare, questi social danno solo la possibilità di veicolare odio, risentimento, astio, disaccordi, inutilità, superficialità, menzogne e altri aspetti di bassa lega....
Non so se il gioco di tenerli aperti valga la candela.


Cosa fare? Chiuderli?
I social vivono di vita propria. Non è più possibile d'imperio chiuderli.

E chiudere i social può solo farci dimenticare che non sono loro il problema ma chi li usa.
Ma verità è che ognuno dovrebbe essere più responsabile nell'usarli e forse una restrizione all'entrata dell'uso dei social non sarebbe una cattiva idea. Irrealizzabile ora come ora ma concettualmente il punto.
Probabilmente si potrebbe creare un nuovo social (e secondo me così avverrà), un nuovo modo di fare social in cui escludere questo modo di approcciarsi.


Cosa penso dei social network? Tutto il bene e tutto il male possibile.
Però rappresentato l'uomo come è oggi.

Con le sue potenzialità (sempre) e le sue miserie (purtroppo).


Per Aspera ad Astra.

domenica 5 gennaio 2020

Cosa vorrei fare da grande 2

Ultimo post di questo blog?
"Cosa vorrei fare da grande"... scritto praticamente un anno fa.
Grande produzione nel mentre.

Risata sarcastica.

Ho vissuto?
Certo che si. Certo che si.


Ho fatto un milione di cose. Ma non ho scritto.
Cosa vorrei fare da grande?
Scrivere.

Pubblicare.
Dire.

Meno social e più scrittura. Meno spettatorismo e più creazione.

Questo è ciò che vorrei fare da grande ora.
Per aspera ad astra!

martedì 8 gennaio 2019

Cosa vorrei fare da grande?

Questa domanda accompagna i pensieri di moltissimi bambini e moltissimi ragazzi.
Lo ha fatto anche con me per moltissimo tempo.
Possibile possa farlo anche quando un ragazzo diventa un adulto?

Può un adulto chiedersi cosa mai potrebbe fare da grande?
Non un adulto di 21 anni. Un adulto di, che so, 46 anni?

Si.
Può.
Deve.

Perchè il concetto di futuro che ha questa decadente società morente è assolutamente ridicolo. Da ridere. E basta.
E' un concetto totalmente sballato.

Come se un ingegnere dovessere usare la bilancia di cucina per decidere la portata dei piloni che sorreggeranno un grande viadotto su qualche vallata alpina....
Ridicolo.

A 46 anni si è adulti. Si ma anche no. Adulti di che? Certamente adulti nel corpo.
E se si pensa che si è solo e unicamente un corpo si è a cavallo.
Ma ciò non è vero.
Un uomo non è il suo corpo. Non è solo quello.
E' un simbolo di mille cose ma il futuro di qualsiasi essere trascende la durata fisica del suo fragile corpo. Che a 40 anni comincia ad invecchiare, a fornire prestazioni meno efficienti ed essere decisamente meno energetico.

A 46 anni si comincia appena appena a capire l'importanza relativa delle cose, si incominincia appena appena a conoscere le proprie reali possibilità e talenti.
A 46 anni si comincia appena appena ad avere una qualche chiara idea di cosa si vorrebbe fare.

Cosa voglio fare io da grande?

Vorrei scendere dalla ruota del criceto.
Vorrei sentire che la porta della camera della mia vita non è chiusa a chiave. E che, se voglio, posso uscire. Andare ovunque e in nessun posto.

Cosa voglio fare io da grande? Lo so. Lo so da circa un mese e mezzo. Voglio essere felice.
Che altro non significa che vorrei essere impegnato in attività di valore.

Valore per chi? Chi decide cosa siano delle attività di valore? Lo so. Lo decido io.
Così come ognuno sa se ciò che fa è di valore o meno.
Se non sei felice, stai facendo attività che per qualcun altro sono di valore.

Cosa voglio fare io da grande?
Vorrei diventare quella persona che volevo essere quando ero bambino.
Alla fine non mi sono smosso di un centimetro da li.
Niente ruota del criceto, niente conformismi e piccoli-borghesismi.

Da bambino volevo fare qualcosa che fosse GRANDE e fosse utile per gli altri.
Quando ero bambino volevo capire.
Volevo conoscere i segreti della mente e dell'universo.

E mai come ora ci posso arrivare.
Quindi penso sia giunto il momento di diventare quel "grande" che volevo diventare quando ero bambino.
Si può fare.
Per aspera ad astra!

giovedì 13 dicembre 2018

Invecchiare come il vino....

Sto invecchiando.
Si, lo so... non siate tristi. E' vero che il tempo passa. Per me come per tutti.
I giovani diventano adulti, gli adulti vecchi e i vecchi muoiono.

E' la grande giostra della vita.
Cosa fanno i vecchi che muoiono è un argomento interessante che magari potrà essere affrontato in un altro post...

Rimane il fatto che mi ricordo come se fosse ieri quando mi sentivo troppo giovane per vivere, per essere preso sul serio, per raggiungere qualcosa, per essere pronto per fare qualcosa di grande.

Adesso, a pochi anni dal mezzo secolo, posso forse ancora dire di essere troppo giovane per qualcosa? O che debbo essere più maturo per fare qualcosa?
Assurdo, completamente assurdo.

Sto invecchiando, ma la cosa non mi tocca particolarmente.
Non amo il tempo perso ma mi sento come il buon vino. Che invecchiando migliora. Sotto tutti i punti di vista.

Se poi dovessi buttare giù un pò di pancetta, sarebbe proprio perfetto.
Per aspera ad astra!

venerdì 30 novembre 2018

Il blog è morto: viva il blog!

E' moltissimo tempo che non scrivo su un mio blog. 
In modo totale da almeno 2 anni, ma in modo non continuo da moltissimo tempo.

Non è più tempo per i blog. La realtà è che il blog, la comunicazione 2.0 che è nata sul web negli anni 2000 è completamente morta.
Il blog è morto. Non esiste più.
 
Quindi W il blog.

Cosa è successo? Semplice: sono arrivati i social network. Facebook in primo luogo, poi Twitter. E poi Instagram, Snapchat ma anche Whatsapp e Telegram.... Solo per citare i fenomeni più importanti e diffusi.
Tralasciando le piattaforme meno riuscite o quelle che hanno anche gettato la spugna.

Quando il mondo del blog comparve, fu per me (e per molti altri) amore a prima vista.
Vi era la possibilità per tutti (la democrazia della comunicazione elevata alla massima potenza!) di poter avere un proprio spazio libero dove poter portar avanti un argomento o un personale punto di vista.
Uno spazio in cui la persona potesse esprimersi, dar libero spazio alla sua creatività personale.
Con maggiore o minore successo stilistico, grazia, correttezza grammaticale e coerenza filosofica.


Il blog era (è) l'elogio della libertà di comunicazione. Ma con un minimo di regole. Un minimo di apporto creativo, un minimo di preparazione.
Giusto un minimo. Just a little bit. Giusto un poco.
Ma quel poco era il fondamento prima della perdizione.

Umberto Eco, in un convegno disse:
"
I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità"

Per quanto in quello stesso convegno, Eco descrisse anche le potenzialità positive dei social network (link al video integrale con le sue dichiarazioni https://www.youtube.com/watch?v=u10XGPuO3C4), non vi è dubbio che la sua posizione sia estremamente tagliente e dura.

Qualche tempo fa non condividevo al 100% questa posizione. Ora, per quanto pensi che il problema non sia il social network in se e per quanto continui a vedere, come Eco, le potenzialità positive dello strumento, mi sono traslato su un accordo quasi totale su questa posizione.

Ecco perchè il blog è morto! E' stato ucciso dai social network.

Perchè almeno.... un tempo.... per scrivere un articolo su un blog... dovevi per forza metterti li, tranquillo, in un posto, una scrivania con un computer a scrivere qualcosa.
Dovevi costruire un messaggio, architettare le frasi, imbastire un discorso e rendere il tuo post qualcosa di dignitoso. Anche quando fosse stato un semplice esprimere un proprio stato d'animo vi era l'aspetto della riflessione.
Il tendere la corda dell'arco e entrare in tensione mirando l'obiettivo prima di scoccare la freccia. Capite?

I social network hanno distrutto tutto ciò. Hanno distrutto il momento di raccoglimento, hanno distrutto il senso unico e unitario del blog.
Adesso sei sempre dentro un flusso inarrestabile di notizie, foto, video, film e (ma guarda un pò!) pubblicità. Di ogni sorta. Utile e inutile.
Sei sempre nel wall, nel muro, nella bacheca. Tu e qualche altro di centinaia o migliaia di persone.
Nel social non c'è un disegno unitario di espressione.
Tu hai un "tic" e allora posti. Può essere un pensiero dell'istante, una foto, un momento privato e così via. Niente di particolarmente sbagliato ma è tutto un pasticcio.

Confuso, confusionario, senza capo nè coda, senza un inizio nè un termine. In un flusso caotico di news, fake news, condivisioni e faccine.


Ecco. Condivisioni!! I social sono diventati il regno della condivisione.
Non ci sono più persone che scrivono o descrivono. Ci sono persone che condividono.

E tutto diventa il regno della citazione, del dire qualcosa con le parole di un altro.
Chi scrive sui social è diventato colui che informa il prossimo con la ritrasmissione di un altro messaggio.
Non ci sono autori sui social network. Solo antenne e ripetitori di segnale.
Condivido quindi esisto.

Ecco perchè il blog è morto.
Perchè il social è più veloce, lo usi mentre caghi, mentre sei alla fila delle poste, mentre sei in palestra o al mare.... Puoi dire il tuo "niente" spesso e volentieri.
Non perchè qualunque cosa detta da qualunque essere umano non sia importante di per se... LO E'.
E' lo strumento che butta tutto in un unico pentolone e minimizza e ridicolizza tutto.
Un piatto di cucina "povera" ha la sua dignità. Perlomeno dei suoi estimotori.
Ma se in un enorme pentolone buttiamo dentro fonduta, pasta al pesto, aragosta, carciofi sott'olio, tiramisù, lasagne, polpette di tonno, kebab, moscardini e salse a profusione che ne salta fuori? Un super alimento?

Il blog è morto. Viva il blog. Perchè ora che quasi tutti sono scappati da questo modo di comunicare, esso può essere gestito da chi ancora lo ama.
Da chi pensa che la velocità non sia sempre un buon compagno di viaggio e che non tutto deve essere immolato all'altare della fretta, della superficialità, della "condivisione" che si attua premendo un tasto.

Che ci inganna dicendoci che siamo più vivi.
Ma che ci sta seppellendo nella mediocrità di questa società che sembra si innalzi verso mete più elevate ma che, invece, ci sta trascinando nell'abbandonare tutti quei valori e dati stabili che facevano di noi persone migliori di quello che siamo oggi.

Torno a scrivere sul blog.
Perchè non fuggirò dai social network.
Non fuggo da niente.
Però torno a dare importanza a ciò che è più importante.
E la creazione è più importante della condivisione.
Per aspera ad astra!


martedì 12 luglio 2016

Animus Pugnandi

Animus Pugnandi. Che è?
Lo spirito di battersi.
Spesso si usa la parola “combattere”. Combattere significa “battersi contro qualcuno o qualcosa”: da cum+battere. Combattere è diventata una brutta parola. Spesso è associata alla guerra o alla violenza.
Il tutto è una semplificazione della parola. Anzi no. Solo una visione superficiale della cosa. Una visione ristretta e leggermente arida.

Animus Pugnandi.
Lo spirito di battersi!
Battersi? Che è battersi?
Solo vivere.

Vivere è la spinta a perpetuarsi in esistenza, migliorando le nostre condizioni e raggiungendo le nostre mete.
Non è battersi questo? Vivere è tenere per qualcosa, metteci dentro impegno, abilità, ricevere colpi e rovesciamenti di sorte, vincere le battaglie.

Gli sportivi non combattono. Si battono.
Hanno un certo onore. Hanno le loro regole.
Per questo lo sport è amato dagli uomini.
Lo sport è la simulazione della vita.

Ma ora è diventato anche quello che la vita dovrebbe essere ma che, con tutti i dati falsi che ci hanno infilato, ormai non è più.
Così la parola d’ordine diventa “politicamente corretto”. Tutto deve essere politicamente corretto.
Giusto!

Ma a volte non comprendo veramente cosa si intenda con questa parola. E quindi diffido. Perchè troppe cose diverse vengono qui dentro incluse. E molte di esse non mi piacciono.
Soprattutto quando il politicamente corretto toglie “l’animus pugnandi” dalla scena. E lo mette in ridicolo.
Lo spirito di battersi è lo spirito di vivere.

La vita è fatta di dedizione, di sacrificio, di impegno, di abilità e di battaglie. Vinte e perse.
Non è detto che la violenza fisica vi sia inclusa. Ma non dobbiamo fare i verginelli e pensare che nessuno mai da nessuna parte userà anche le “maniere forti”.
E’ proprio per questo che ci vuole “lo spirito di battersi”!
Perchè solo i malvagi devono battersi con lo spirito di vincere?

Forse i buoni non possono o non devono vivere? E vincere?
Lo faranno con le loro armi. Con l’onore, la tolleranza, il rispetto, l’integrità, il coraggio e l’onestà. Ma nessuna di queste parole nega il fatto che occorra essere pronti a battersi, a difendere ciò in cui crediamo e a impegnarsi per le nostre mete.
Ci si può battere con onore, tolleranza, rispetto, integrità, coraggio e onestà.
Lo si dovrebbe fare se si è i buoni.
Ma buoni non è sinonimo di fessi o codardi. Nel dizionario non ho mai visto questi sinonimi.
Buoni non significa essere titubanti nel battersi. Significa solo schierarsi con una certa parte del campo di battaglia.
E cose con cui battersi ce ne sono.
Ci sono i nostri cari, c’è la nostra integrità minacciata da vermi striscianti e da bugie troppo grandi e squallide per essere tollerate.
C’è la sopravvivenza del pianeta, l’infinità dell’universo, la bellezza della diversità, il sorriso di un bambino quando scarta un regalo.
Voglio che l’animus pugnandi diventi l’acqua in cui le persone si bagnano ogni giorno.

Io mi impegnerò per dare l’onore delle armi a questa tenzone chiamata vita.
Con il giusto spirito.
Non quello di un soldato. Non quello di un guerrillero. Non quello di un terrorista. Non quello di uno psichiatra. Non quello di un malvagio. Non quello di un criminale.
Ma quello di un cavaliere, di colui che si batte se c’è da battersi e che lo fa per una giusta causa.
Rispolveriamo questa figura messa nei cassetti.
Facciamolo.

UN ABBRACCIO.
Antonello

venerdì 17 giugno 2016

Il vicino di casa: un essere che si sta estinguendo.

Help, aiuto.
Fate presto!
C'è una emergenza molto emergente.....

Dovremmo chiamare il WWF per informarli che ci sono nuove specie in via d'estinzione di cui non stanno tenendo conto.
Una di queste è il vicino di casa.
Sono nato e cresciuto in un piccolo paese, quelli tipici italiani in cui quando si giunge a quota 2000 abitanti, sembrava di essere diventati una metropoli stile Città del Messico o Bombay.
Un luogo in cui se non conoscevi qualcuno è perchè facevi finta di non conoscerlo.
 
Nel peggiore dei casi era un tuo parente, vicino o lontano che fosse, nel migliore dei casi eri tu che ti guardavi allo specchio.
Ovviamente scherzo ma l'atmosfera che aleggiava in paese era qualcosa di particolare.
Vi erano delle differenze abissali fra lo stile di vita di allora e quello di adesso. Io non vivo più nel mio paese natale ma in una cittadina in cui, ovviamente, non è possibile far rivivere queste cose alle nuove generazioni. Ma neppure in quelle strade che mi hanno visto bambino accade ciò che accadeva solo 20 o 25 anni fa.
Non sono così vecchio da dire "ai miei tempi" ma sono sufficientemente non-giovane da poter tirare alcune conclusioni.
Una delle figure che ho visto cambiare radicalmente è quella del vicino di casa.
Sarà perchè i miei vicini quando ero bambino erano più che parenti, erano un punto di riferimento.
Tutti i vicini erano zii. Nessuno era il signor X, tutti erano Zio Tonino, Zia Maria, Zio Franco, Zio Ottavio, Zia Caterina e via dicendo.
Se mancava lo zucchero, il pane, lo yogurt o quello che era, si andava dal vicino e non nell'ipermercato più vicino.
Quando uscivi fuori a giocare (Si, signori lo confesso, uscivamo fuori dalla galera, pardon, quattro mura di casa per giocare), il genitore di turno ti diceva "Non farti male perchè se no ti ammazzo!" e ti lasciava andare. Sapeva che qualcuno avrebbe controllato se combinavi pasticci o se ti facevi male.
E questo accadeva dai 3/4 anni in su.
E' vero, non ti allontavi più di tanto. Stavi nel raggio di qualche chilometro da casa. Non è che si andava a Berlino o a Tokio. Ma il sistema articolato di massaie che entravano e uscivano di casa garantivano un controllo costante. E la cosa incredibile che zia Caterina avrebbe controllato che tu non creassi disastri anche se non aveva figli o se non era un tuo parente diretto. Non solo, se combinavi qualcosa ti avrebbe anche sgridato. E se eri a portata di braccio, uno scappellotto non sarebbe mancato.
Dove è finita ora quella razza di super uomini e di super donne?
Dove è finito il vicino di casa che faceva il vicino di casa, condividendo problemi e necessità con chi gli abitava di fianco?
Mi ricordo nitidamente che quando avevo sete, nei miei giochi nel quartiere, entravo nella prima casa a disposizione per dissetarmi. Non tornavo a casa. Troppo lontana. Andavo da zia Francesca e gli chiedevo dell'acqua.
Non so, mi sembra di parlare di qualcosa che è frutto di un sogno, talmente evanescente che sembra non essere mai accaduto ma è accaduto.
D'estate, le persone portavano nelle verande e sulla strada le sedie in legno, quelle impagliate e si sedevano per conversare. Di che si parlava? Ah, non so. Forse di niente, forse di vita, forse di pettegolezzi. Nè più e nè meno di quello che si può dire in una qualsiasi bacheca di Facebook. Ma lo si faceva in un modo che rafforzava il convivere comune, come se tutti facessimo parte di una grande nave che attraversava l'oceano.
C'erano i litigi, le discordie e i dispetti. Ovvio che c'erano.
Ma accadevano nello stesso scompartimento, era tutto figlio dello stesso mondo. Anche quello ti apparteneva.

E ora?
Ora vivo in un condominio in cui so che ci abita qualcuno. Forse. In realtà non sono sicurissimo: sento dei rumori, è vero. Diciamo che è probabile che ci siano forme di vita. Come su Marte. In realtà incontro anche persone che mi salutano con cortesia. Forse vivono anch'essi di qualcosa che è rimasto di quel mondo scomparso.
Eppure anche loro non entrano in casa, non ci hanno mai chiesto il sale o le uova, non vengono a bere il caffè da noi. Si è prigionieri di una sorta di maledizione voodoo che dice che "SI POTREBBE DISTURBARE!".
Sarà capitato anche a te di andare in un bar alle 10 di notte per recuperare una bottiglia d'acqua anzichè richiederla ai vicini. O no?
Mia moglie una volta mi disse: "Eh, magari disturbiamo....."
Capite come si è estinta la razza del buon vicino. ".......Magari disturbiamo.......".
Certo che disturbi. In una comunità che cerca di sostenersi l'un l'altro disturbi. Come fai a non farlo? Vivi a 4 metri l'un dall'altro. Ci disturbiamo talmente tanto che i condomini finiscono spesso in tribunale per i motivi più banali ed abbietti.
Quale è la soluzione per non disturbarsi? Andare a vivere lontano.
Se non si vuole essere disturbati e disturbare, ci si deve scollegare dal mondo. Ma occorre essere consapevoli di cosa comporta questo... Fino in fondo.... Lo siamo? Siamo davvero consapevoli?
Ma se vivi vicino a qualcuno (queste cose chiamate città!) occorre solo comprendere che il disturbo è una componente del convivere insieme. Non siamo autosufficienti, non bastiamo da soli. Abbiamo bisogno del vicino.
Perchè avere dei vicini con cui interagire, di cui fidarsi, a cui chiedere l'acqua alle 10 di sera ti fa vivere in una dimensione che è consona alla propria natura umana.
Senti di essere nel mondo e in contatto con il resto dell'umanità.

Se il vicino muore (intendo concettualmente), qualcosa lo dovrà sostituire. Non qualcuno, qualcosa. Forse la playstation, forse il Grande Fratello della Marcuzzi, forse Facebook, forse Realtime, forse una canna di hascish per ammazzare il tempo. Ma se le persone muoiono, i loro sostituti non sono persone ma surrogati. Ricordatelo. Non sono persone.
Sono solo surrogati.
Facebook e tutto il web 2.0 è meraviglioso. Non facciamo per forza gli ottusi.
Nell'aumentare le possibilità di comunicazione c'è il segreto della felicità e del futuro.
Ma non puoi chiedere alla creatura di Zuckerberg di prestarti l'acqua alle 10 di sera o il sale all'ora di pranzo. E il signor Twitter non ti controllerà i tuoi bambini se tu non puoi.

Chi avvisa il WWF della scomparsa della razza del buon vicino? Io o voi?
Un abbraccio
Antonello

martedì 14 giugno 2016

Il fattore "IO VOGLIO"


Ho letto un articolo che mi sembra non solo bello ma meraviglioso.

Ho pensato di tradurlo in italiano e pubblicarlo in questo blog.



Si intitola "IL FATTORE IO VOGLIO'" e parla di cosa significhi realmente il concetto di volontà.

Si porta dietro un sacco di buoni spunti per riflettere sulla nostra vita.

Eccolo qui:



Quanto è importante per voi raggiungere i vostri obiettivi? Quanto volete davvero aumentare il vostro reddito? Quanto volete migliorare il vostro futuro?



Quanto maledettamente volete avere successo?

Su una scala da 1 a 100 (con 100 che vuol dire che si è così eccitati e appassionati per il proprio successo da non dormire la notte), quale punteggio personale avreste ora? Cosa  accadrebbe se incrementaste questo punteggio di 30 o 40 punti?

Dopo aver definito con esattezza il vostro obiettivo o prodotto (come illustrato in un precedente articolo qualche settimana fa), ora è necessario aggiugere qualche cavallo vapore al motore.



Il fattore "IO VOGLIO" è qualcosa che potete controllare. Nei fatti, molte persone riescono nel loro campo, non perchè siano degli esperti o particolarmente competenti ma perchè il loro fattore "IO VOGLIO" è molto alto. Essi vogliono veramente avere successo e danno tutto ciò che è necessario per raggiungere i loro obiettivi.


Molte persone non vogliono, nei fatti, il risultato del loro lavoro (prodotto) con la giusta intensità affinchè la cosa si realizzi.

Invece di trovare il modo di avere successo, trovano scuse.



Dopo aver dato un nome al proprio prodotto (definito con esattezza!), è necessario quindi volere il proprio prodotto.

1. Nominare il proprio prodotto o il risultato cercato. E' molto più facile volere qualcosa di specifico che qualcosa di non definito, espresso solo in termini generali.

Ottenete qualcosa di specifico. Per esempio, un venditore di auto potrebbe desiderare di fare 30 prove su strada con clienti, 5 vendite e 1.000 euro di commissioni guadagnate in una giornata. Un consulente fiscale potrebbe desiderare di completare 20 dichiarazioni dei redditi e riuscire a trovare 3 nuovi clienti. Una madre potrebbe desiderare che suo figlio di 4 anni impari ad allacciarsi le scarpe e sua figlia di 16 smettere di fumare marijuana.

2. Decidere QUANTO si desidera il risultato. Questo è un qualcosa che può essere incrementato in base ad una decisione.

Per esempio, il pensiero "Certo, mi piacerebbe avere una carriera di successo" non equivale ad una grande quantità di "volontà". Occorre cambiare l'atteggiamento in qualcosa di simile a: "Fare della mia carriera un gran successo è così importante per me che farò tutto quello che serve per essere il migliore del mondo. Lavorerò 10-12 ore al giorno. Imparerò tutto quello che posso e cercherò tutto l'aiuto che mi è possibile, da ogni risorsa possibile. Voglio mangiare, dormire e respirare la mia meta. Userò la mia forza, il mio tempo, la mia conoscenza, la mia fiducia, la mia fede e le mie risorse per far andar bene le cose. Diventerò il migliore in questo campo e raggiungerò la mia meta non importa ciò che occorrerà".

3. Se non è possibile far si che si VOGLIA ottenere il prodotto, raggiungimento o risultato, ci deve essere qualcosa di sbagliato.

Forse, è necessario mettere prima a posto qualcosa nella propria vita. Molti fattori nella vita possono distruggere o limitare il tuo desiderio di ottenere qualcosa: droghe, alcool, cattive relazioni, comportamenti non etici e così via.

Forse si ha bisogno di una maggiore auto-disciplina, un approccio migliore, più istruzione, persone con maggiori caratteri positivi attorno a se, un atteggiamento gentile verso se stessi o un luogo migliore dove vivere e lavorare.

O forse c'è bisogno di stabilire qualche altra cosa da voler realizzare.



In ogni caso, dovete trovare un modo per VOLERE passionalmente, intensamente ed irragionevolmente ciò che avete STABILITO per voi. Abbiate più desiderio di ottenerlo o realizzarlo rispetto a qualunque altra cosa abbiate desiderato finora. Se il vostro fattore "IO VOGLIO" è forte abbastanza, niente può fermarvi. 

Così, quanto maledettamente volete aver successo?





Spero che questo articolo, molto, molto profondo nei suoi concetti di base, sia di grande spunto per le vostre conquiste.


Un abbraccio.